la pianificazione continua spesso a trattare tutte le impression come fungibili, privilegiando la quantità di contatti a scapito della loro presa emotiva e del loro prezzo ambientale.

L’espressione “massimizzare la copertura” continua a dominare i brief di pianificazione, ma i numeri più aggiornati mostrano che questa febbre da scala — quando non accompagnata da un controllo sulla profondità dell’engagement e sul costo climatico — rischia di consegnare al mercato un ROI solo apparente. Il paradosso risulta evidente non appena si sovrappongono le curve di efficacia e quelle di emissioni.

Sul fronte della performance di marca, l’analisi condotta dalla Saïd Business School dell’Università di Oxford su 1 083 campagne in 51 Paesi resta la più ampia disponibile. Sotto un modello “gamma hurdle”, la quota di budget allocata alla sala genera il coefficiente di crescita più alto su tutti e quattro i KPI esaminati. La motivazione d’acquisto raddoppia il risultato del miglior canale digitale (3,34 contro 2,08); l’associazione al brand (6,05) supera di quasi due volte YouTube; la notorietà spontanea (6,69) quadruplica quella dei formati social; l’awareness assistita (26,11) triplica il valore del secondo classificato. È un effetto che non nasce dalla spesa assoluta — il cinema pesa di rado più del 4 % del media-mix — ma dalla qualità dell’attenzione che la fruizione immersiva garantisce: in sala il pubblico non interrompe lo spot per consultare il telefono, non salta il contenuto, non lo riduce a un box muto in background.

Quando si passa all’impronta carbonica, il quadro torna a vantaggio del grande schermo con la stessa nettezza. L’aggiornamento 2025 del Global Media Sustainability Framework — prima release che include una metodologia dedicata al cinema — attribuisce alla sala un fattore emissivo medio inferiore a 0,5 kg di CO₂ ogni mille impression. Il benchmark consolidato da Scope3 ed Ebiquity colloca il video online ad alta intensità di traffico dati attorno a 0,67 kg per mille impression. Il differenziale diventa più eloquente se si normalizza per i secondi di attenzione effettiva: una modellizzazione Lumen Research–Scope3 mostra che per generare 18 milioni di secondi attenti bastano circa 700 000 impression in sala con 291 kg di CO₂, mentre lo stesso monte-attenzione richiede più di 3,1 milioni di impression video display e oltre 2 100 kg di CO₂. A parità di obiettivo cognitivo, la sala produce quasi sette volte meno emissioni.

GREENWASHING

In sintesi, i dati convergono su un’indicazione inequivocabile: il cinema eroga un engagement di qualità superiore con una footprint significativamente più bassa. Tuttavia, la pianificazione continua spesso a trattare tutte le impression come fungibili, privilegiando la quantità di contatti a scapito della loro presa emotiva e del loro prezzo ambientale. Ignorare queste evidenze prolunga una distorsione che gonfia i volumi, fa lievitare le emissioni e, paradossalmente, comprime i ritorni economici che la marca potrebbe ottenere.

Accogliere la lezione del grande schermo non significa abbandonare gli altri canali, bensì riconoscere che il valore di un’esposizione dipende da quanto resta nella memoria delle persone e da quanto pesa sull’atmosfera. La seduzione della copertura totale è forte, ma oggi i numeri raccontano che una quota ben dosata di cinema nel mix permette di ridurre impression superflue, rafforzare il brand-lift e alleggerire il bilancio di CO₂: un equilibrio che trasforma l’efficienza apparente in un ROI realmente sostenibile.

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